Dove il primo gennaio non solo ci auguravamo un felice anno nuovo, ma anche un felice nuovo decennio – erano cominciati The Roaring Twenties! – ora, solo tre mesi dopo, il 2020 è stato praticamente cancellato. L’Eurovision, il campionato europeo di calcio, i giochi olimpici, tutto è rimandato al prossimo anno. Grandi eventi che tantissimi di noi non vedevamo l’ora di vedere, ma che ora ci riservano un’estate vuota. Forse ad avere un impatto ancora maggiore sulla nostra vita quotidiana sono tutte quelle piccole cose personali che non possono più avere luogo perché restiamo a casa: l’appuntamento dal parrucchiere, quel concerto, il torneo di calcio e il matrimonio di una collega. Le nostre agende sono state svuotate collettivamente. Nonostante il mondo si trovi ad affrontare un’enorme sfida che rende insignificanti tutte le altre cose, di tanto in tanto ci si può comunque sentire deluso. La settimana scorsa era una di quelle che aspettavo con gioia: mercoledì 25 marzo era già da mesi segnato sul mio calendario digitale. Stavo facendo il conto alla rovescia dei giorni visto che doveva essere il giorno in cui Sara, mia cara amica scozzese-italiana, e io saremmo riunite. Lei sarebbe venuta a trovarmi a Roma – il biglietto aereo era stato prenotato da tempo – e tutte le nostre recenti conversazioni riguardavano dove andremmo a cena, e quali altre cose divertenti faremmo a Roma.
Accanto a me sedeva una ragazza bionda con occhi azzurri e brillanti che mi si presentava in inglese con un accento che mi faceva quasi soffocare nel vino. Che cosa ha detto?!
Sara ed io siamo migliore amiche fin dal primo minuto che ci siamo incontrate a Roma. Con alcune persone, si sente subito un legame con l’anima. Quasi cinque anni fa, siamo andate in un’enoteca all’antica in una notte molto calda di metà settembre, nell’ambito della settimana introduttiva dell’Università. Il locale – sembrava una cantina senza finestre o altra ventilazione – c’erano dei grandi tavoli di legno. Su ogni tavolo erano messe tante bottiglie di plastica di Coca-Cola riempite di vino rosso frizzante proveniente direttamente dalle botti del vicino vigneto. Molto probabilmente hai provato lo spumante bianco, tuttavia nei dintorni di Roma si trova anche lo spumante rosso. Questo tipo di vino rosso abbastanza gustoso era l’unico tipo di bevanda che servivano e veniva riempito senza limiti. Sentendosi ancora un po’ a disagio ed esitando, dato che nessuno si conosceva ancora veramente, tutti si svolgevano sulle anguste panche di legno, dovendo sedersi molto vicini in questo ambiente sudato. Accanto a me sedeva una ragazza bionda con occhi azzurri e brillanti che mi si presentava in inglese con un accento che mi faceva quasi soffocare nel vino. Che cosa ha detto?! Le ho chiesto da dove venisse, e con mia grande sorpresa ha risposto: “Italia”. Beh, almeno suo padre, sua madre era di Glasgow, dove lei stessa era cresciuta. Da qui l’accento. Abbiamo iniziato subito a parlare e in pratica non ci siamo più fermate mai. Dopo un sacco di pasta e di vino rosso non ho quasi più notato la R rotolante e ho fatto da vera interprete tra Sara e Julia, un’amica brasiliana che aveva più difficoltà a capire l’accento scozzese, causando scene esilaranti. Una olandese che ha dovuto tradurre l’inglese da una scozzese – la cui lingua madre è in realtà l’inglese – a un tipo di inglese che la brasiliana poteva capire. Hai ancora capito?
Da quel momento in poi, io e Sara siamo state inseparabile. Abbiamo fatto tutto insieme
Da quel momento in poi, io e Sara siamo state inseparabile. Abbiamo fatto tutto insieme, dal nostro “Martedì del Fitness” auto-inventato (in cui andavamo a casa mia dopo le lezioni del martedì, mettevamo i teli da mare sul pavimento per la mancanza di veri tappetini per lo yoga, seguivamo un video di fitness super intensivo su Youtube per mezz’ora e poi mangiavamo pollo con spinaci per poter mangiare pizza, pasta e gelato gli altri sei giorni della settimana senza preoccupazioni) al bere caffè e chiacchierare per ore sotto gli ombrelloni del bar dell’università. Dalle serate danzanti nelle discoteche romane a una presentazione imbarazzante in un corso completamente parlato in italiano per la quale, durante le settimane di preparazione, abbiamo inviato tanti e-mail al nostro povero membro del team Antonio – che è stato lo sfortunato ad essere inserito in un gruppo con due ragazze affiatate e iperattive – a qualsiasi ora del giorno (e della notte) con la “richiesta urgente” di dare un contributo migliore al progetto. Ovviamente abbiamo sempre firmato con un dolce “Grazie mille, sei il migliore”.
Già nei primi mesi in cui ci siamo conosciute mi ha invitato ad accompagnarla sulla visita alla famiglia. Un fine settimana di aprile, poi finalmente è successo
Più a lungo io e Sara eravamo amiche, più mi è stata chiara quale fantastica combinazione di eredità le è stata donata. La grande ospitalità, l’allegria e l’umorismo degli scozzesi si combinavano con l’arte elegante e appassionata di godersi la vita degli italiani. Ormai posso dire senza dubbio che sia gli scozzesi che gli italiani sono i miei popoli preferiti al mondo. La nonna e le zie di Sara (e i cugini, gli zii, e altri parenti…) vivono a Barga, un piccolo villaggio sulle montagne della Toscana, non molto lontano da Lucca. Già nei primi mesi in cui ci siamo conosciute mi ha invitato ad accompagnarla sulla visita alla famiglia. Un fine settimana di aprile, poi finalmente è successo. Avevamo davanti a noi un lungo viaggio, pianificato con molta cura da Sara. Il venerdì pomeriggio abbiamo preso un autobus dall’università alla grande stazione ferroviaria di Roma, per salire sulla linea ad alta velocità per Firenze. Lì abbiamo cambiato treno in direzione Lucca, e da lì abbiamo preso un trenino in salito fino a Barga.
Ogni volta che vado a trovare Sara a Glasgow, ci troviamo in un posto con una pittura sul muro che mi sembra molto familiare. “Ma quella è…?”, “Sì”, Sara risponde quando vede il mio sguardo interrogativo. Quella è la chiesa e la piazzetta di Barga
Barga, la città più scozzese d’Italia, è un pezzo di Italia talmente unico che persino Jamie Oliver una volta le ha dedicato un intero blog. Lontano dalle strade sempre affollate con turisti in Toscana, si trova un paese di montagna dove le conversazioni in pizzeria si trasformano senza sforzo dall’italiano all’inglese (con accento scozzese), dove gli abitanti chiamano i numeri di telefono scozzesi per raggiungere i familiari già da decenni e dove il prete italiano ha da tempo smesso di farsi sorprendere dallo sposo che compaia nella sua chiesa in kilt. Per spiegare tutto questo, dobbiamo tornare indietro nel tempo. Dalla fine del 19° secolo fino a dopo il secondo dopoguerra, un gran numero di italiani ha lasciato il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore. Alcuni abitanti di Barga finirono a Glasgow e dintorni, dove si costruirono una nuova vita. A causa delle storie positive, molte famiglie seguirono. Compresi i nonni di Sara, che poi tornarono al sole della Toscana dopo la loro vita lavorativa in Scozia. Suo padre rimase però in Scozia, dove sposò una ragazza di Glasgow. Così come Barga è un ‘piccolo pezzo di Scozia’, Glasgow è la patria di una grande comunità italiana. Ogni volta che vado a trovare Sara a Glasgow, ci troviamo in un posto con una pittura sul muro che mi sembra molto familiare. “Ma quella è…?”, “Sì”, Sara risponde quando vede il mio sguardo interrogativo. Quella è la chiesa e la piazzetta di Barga.
Appena scese, l’aria serena della sera si riempì di una voce femminile entusiasta – “Sembrate due gemelle!”
Era già sera quando il trenino si è fermato in una stazione quasi deserta. Appena scese, l’aria serena della sera si riempì di una voce femminile entusiasta – “Sembrate due gemelle!” – che apparteneva alla zia di Sara, zia Frida, che era venuta a prenderci. Un turbinio di energia con la passione di una vera donna italiana, ma un accento inconfondibile della Scozia occidentale. Da quel momento sono stata completamente immersa nel caos felice del villaggio. Appena installate nella sua bella e accogliente casa, abbiamo dovuto affrettarci verso il Irish pub, dove ci siamo godute una cena a base di hamburger e sì, fish and chips in un gruppo di circa dodici persone – tutti membri della famiglia o conoscenti. Una band dal vivo ha suonato dei classici del rock e zia Frida è salita sul palco per farci godere la sua meravigliosa voce. I drink sono stati serviti in abbondanza ed era già ben oltre la mezzanotte quando siamo tornate a casa a piedi. Tuttavia, dovevamo ancora fare un pitstop in un bar il cui proprietario era un buon amico del padre di Sara, al quale naturalmente dovevamo mandare i nostri migliori saluti. Sicuramente non ci era permesso di andarcene senza aver bevuto un ultimo shot. Non è stata una sorpresa che la mattina dopo ci siamo sedute in piazza a goderci in silenzio il nostro cappuccino da dietro gli occhiali da sole, nonostante il sole assente. Dopo una rinfrescante passeggiata attraverso il bellissimo borgo medievale è seguito il pranzo in famiglia. I cugini di Sara sono tornati da scuola – in molti posti in Italia i bambini vanno ancora a scuola il sabato mattina – e di nuovo ci siamo sedute a tavola con un folto gruppo di persone. A me e a Sara è piaciuto molto, essendo entrambe persone di famiglia.
Ci siamo sedute volentieri in ginocchio per posare con il suo labrador, ma subito il signore ha iniziato a urlare che dovevamo stare in piedi
Tutto il fine settimana è stato in realtà una serie di momenti bellissimi, ma il mio momento preferito è stato domenica pomeriggio, quando siamo andate in trattoria per un tradizionale pranzo domenicale con la nonna di Sara, la prozia (sorella della nonna), la zia e la zia di secondo grado (figlia della prozia). Dopo che uno dei signori anziani al tavolo accanto a noi aveva dato uno sguardo nella nostra direzione di tanto in tanto – con zia Frida che però ha subito fatto un commento acuto a lui che facendogli volgere subito lo sguardo al suo piatto di pasta – ha colto l’occasione dopo pranzo. Stavamo tutti chiacchierando fuori al sole quando il signore ha chiesto allo chef del ristorante di scattare una foto di Sara e me con il suo cane. Ci siamo sedute volentieri in ginocchio per posare con il suo labrador, ma subito il signore ha iniziato a urlare che dovevamo stare in piedi. “Ma in questo modo non riesco a far entrare il cane nella foto” disse lo chef, e come risposta il signore cominciò a sbraitare a gran voce in italiano, dicendo che non gli importava affatto del cane. Nel frattempo zia Frida riusciva a malapena a smettere di ridere.
“Oh nonna, per favore”, disse Sara, non capendo cosa stava succedendo. Finché non abbiamo alzato lo sguardo
La nonna di Sara si è rivelata una vera donna italiana con un senso del dramma. Sebbene potesse camminare perfettamente da sola solo pochi minuti prima, ora ha ordinato a Sara e a me di sostenerla prendendo il suo braccio, ognuna da un lato. A passo di lumaca ha messo un piede dietro l’altro. Abbiamo cercato di accelerare un po’, ma poi nonna ci ha sussurrato “rallenta!” “Oh nonna, per favore”, disse Sara, non capendo cosa stava succedendo. Finché non abbiamo alzato lo sguardo. Una macchina della polizia si era fermata e i due carabinieri, due veri macho di trent’anni, si sono appoggiati alla loro macchina lucida, mentre prendevano la situazione da dietro i loro occhiali da sole dorati. Nonna conosceva fin troppo bene questo gioco, ed era disposta a partecipare alla performance come una vera attrice. Noi tre insieme andammo avanti, rallentammo ancora di più nel momento in cui passammo davanti ai due signori in uniforme. Ficcando il naso in aria e facendo finta di non aver notato i due carabinieri, ci ha sussurrato ad un volume un po’ troppo alto: “Ci stanno guardando? Vi stanno guardando, ragazze?”.
E quell’accento scozzese? Beh, dopo cinque anni, non me ne accorgo più. Fino all’altro giorno a Roma, quando una donna inglese mi ha chiesto se avevo dei parenti scozzesi…
È stato un fine settimana fantastico. Ho dovuto costantemente ricordare a me stessa di essere in Italia, quando ho sentito il suono familiare e inconfondibile dell’accento scozzese che riecheggiava nelle strade strette. Ora, quattro anni dopo, Sara ed io parliamo ancora spesso di questi giorni meravigliosi. La settimana scorsa sua nonna ha compiuto novant’anni e dopo i giorni che Sara avrebbe dovuto trascorrere con me a Roma, si sarebbe unita alla sua famiglia a Barga che finalmente sarebbe stata di nuovo completa per questa occasione speciale. Purtroppo il coronavirus ha impedito questo felice ricongiungimento, ma è stato però con un grande sorriso che ho guardato i video che Sara mi ha inviato questa settimana di una nonna altrettanto felice, ancora in buona salute. Ho capito quanto dovremmo essere grati per tutti questi moderni modi digitali di restare in contatto. Naturalmente Sara ed io ci siamo viste su Facetime durante il fine settimana e mi sono resa conto ancora una volta di quanto sia speciale la nostra amicizia. Solo vedendoci una o due volte all’anno (ma quando lo facciamo, sono quattro giorni pieni di divertimento), riusciamo ancora a condividere ogni piccolo dettaglio della nostra vita. E quell’accento scozzese? Beh, dopo cinque anni, non me ne accorgo più. Fino all’altro giorno a Roma, quando una donna inglese mi ha chiesto se avevo dei parenti scozzesi…