La settimana scorsa, quando ero ancora in Olanda, io e i miei amici siamo usciti per la mia cena di compleanno, così ho chiamato il ristorante per prenotare un tavolo per sette. All’ultimo minuto un altro amico ha deciso di unirsi a noi, e così ho richiamato il ristorante per cambiare la mia prenotazione in un tavolo per otto. Ho esitato se fosse necessario chiamare di nuovo, ma ho ritenuto che fosse comunque educato farlo. Meno male che l’ho fatto, perché avevamo sicuramente bisogno di un tavolo più grande con otto persone, così mi hanno detto. Sono arrivata prima e presto c’erano anche un’amica e la prima coppia. Un po’ sorpresa ho guardato il tavolo: erano rimaste solo quattro sedie vuote mentre aspettavamo altri cinque amici. Un po’ imbarazzata mi sono avvicinata al proprietario del ristorante per dirgli che in realtà eravamo in nove. Naturalmente, mi ha guardato un po’ strano. Che cosa è successo? Beh, avevo semplicemente dimenticato di includere me stessa nei miei calcoli. Durante la cena, un amico ha commentato che mi inserivo perfettamente nella disordinata vita italiana, con il mio caotico stato d’animo. Non ho potuto fare a meno di sorridere, consapevole e un po’ colpevole.
Ma sono davvero un tale caos anche io?
Una delle prime cose che ho imparato l’estate scorsa a Napoli è stata la risposta standard alla domanda “Come stai?”: “Tutto a posto, niente in ordine”. Non credo che avrei potuto descrivere la vita a Napoli – e in realtà anche in altre parti del sud Italia – in un modo più preciso. Amo il caos, l’imprevedibilità, la spontaneità e l’inventiva. Ma sono davvero un tale caos anche io? Ho pensato alle passate vacanze di Natale e subito quel sorriso colpevole mi è apparso di nuovo sul viso.
Eravamo lì, in una macchina – di cui non si poteva più guardare attraverso i finestrini a causa del vapore caldo del tè – con le due ruote anteriori affondate nel fango, sentendoci abbastanza sconfitte. Ci siamo rese conto che c’era rimasta una sola soluzione
E’ iniziata così bene. Venerdì, la parte internazionale del nostro gruppo di sei amiche è tornata in Olanda, rispettivamente da Ho Chi Minh, Londra e, naturalmente, Roma. Sabato, avevamo programmato una bella serata tra ragazze, perché finalmente eravamo tutte insieme. Ho deciso di guidare quella sera e era già alle tre e mezza di notte quando noi tre siamo salite in macchina e ho potuto portare a casa le mie due amiche che stavano con i loro genitori durante le vacanze. I genitori dell’amica 1 si erano da poco trasferiti in un nuovo appartamento in una strada ancora in costruzione. Nonostante le sue chiare istruzioni, abbiamo comunque sbagliato strada. L’amica 2, che era ancora in macchina con me, mi ha distratto quando mi ha questo quale sarà la prossima canzone di ABBA che ascoltaremo. Prima che me ne accorgessi, le due ruote anteriori della macchina erano bloccate nel fango dietro un marciapiede. La mia amica era convinta di poter spingere facilmente la macchina fuori dal fango (con i tacchi alti 10 centimetri), ma mi resi subito conto che l’unica cosa che avremmo fatto era che anche lei sarebbe rimasta bloccata nel fango con i suoi tacchi. Dopo aver chiamato l’amica 1, che era appena entrata nell’appartamento, e le abbiamo chiesto di uscire di nuovo per aiutarci, si è sviluppata una scena piuttosto divertente. Per prima cosa, abbiamo cercato di mettere i tappetini della macchina sotto le ruote per avere una presa più salda (un consiglio intelligente di Google) ma dopo alcuni tentativi di tirare fuori la macchina dal fango, il motore si è rifiutato di partire e siamo rimasti con l’ennesimo problema. Poi abbiamo fermato un tassista di passaggio che sosteneva che c’era qualcosa che non andava con la chiave della macchina che non si avviava più (in quel momento, questo pensiero ci è sembrato piuttosto assurdo, con la nostra ricca conoscenza delle auto. Tuttavia, quando il soccorso stradale è arrivato il giorno dopo, la chiave si è rivelata essere il problema). Comunque, dopo aver provato e riprovato per altri 45 minuti e dopo che noi tre avevamo guardato un vlog “cosa fare quando il motore non parte” – che non ci ha insegnato nulla di nuovo – ci siamo resi conto che dovevamo arrenderci. Ora tremante per il freddo (perché quello stupido riscaldamento non funziona se il motore non è acceso?) l’amica 1 è tornata a prenderci tre tazze di tè caldo e un po’ di pane di Natale. Eravamo lì, in una macchina – di cui non si poteva più guardare attraverso i finestrini a causa del vapore caldo del tè – con le due ruote anteriori affondate nel fango, sentendoci abbastanza sconfitte. Ci siamo rese conto che c’era rimasta una sola soluzione: svegliare mio padre. “Ciao papà, sei sveglio? E’ successa una piccolo cosa…”. La scena che mio padre ha trovato alle cinque del mattino dev’essere stata piuttosto particolare: le tre donne del mondo completamente tremante dal freddo in attesa in una macchina bloccata con una tazza di tè per essere finalmente liberate dalla loro scomodissima situazione. Tutto questo per una canzone di ABBA.
Ovviamente, quest’avventura è diventata una storia di cui abbiamo riso molto il giorno dopo durante la cena di Natale con il nostro gruppo di amiche. Ma non si è fermata qui
Ovviamente, quest’avventura è diventata una storia di cui abbiamo riso molto il giorno dopo durante la cena di Natale con il nostro gruppo di amiche. Ma non si è fermata qui. La cena era divertente e le ore volavano. Era già dopo mezzanotte quando mia madre mi ha scritto: “Anne, ma tu hai la chiave di casa?”. Eh, ops… Potresti stare alzata ancora un po’, mamma? Poi il lunedì abbiamo dovuto fare la spesa per la nostra grande festa di Natale Extravaganza, per la quale mio zio si era gentilmente offerto di cucinare. Chiaramente io e mia cugina avevamo pensato al menù ma la ricetta – e quindi gli ingredienti che ci servivano – per le tagliatelle al ragù? Eh, dovevamo comunque cercarla su Google in macchina sulla strada per il supermercato. Finalmente arrivati, abbiamo potuto iniziare a raccogliere tutto quello che ci serviva, ma nel momento in cui siamo entrate, mia cugina e io abbiamo visto una bancarella che distribuiva cialde appena sfornate. Aspetta, allora cosa ci serviva? E chi aveva la lista della spesa? Grazie a Dio mio zio e mia zia erano venuti con noi…
Mi chiamano la Regina dell’Ultimo Minuto
Ormai ci sono già stati alcuni aneddoti e le vacanze di Natale non sono ancora finite. Ogni anno organizziamo una grande festa a tema per il Capodanno, e ogni anno è importante avere un buon vestito e una buona pettinatura. Come sempre, mia madre era la prescelta per farmi i capelli per la notte e ogni anno a metà dicembre, ci mettiamo d’accordo per fare qualche prova di pettinatura per evitare lo stress del 31 dicembre. Probabilmente non ti sorprenderà il fatto che non abbiamo mai fatto neanche una pettinatura per fare pratica ed erano già le quattro del pomeriggio quando mi ha fatto i bigodini nei miei capelli. Alle cinque dovevo essere al locale, quindi toccava a mia madre trasformarmi in una vera e propria Tante Annie, compresi i grossi capelli e i riccioli vecchio stile, in meno di un’ora. Non so proprio come faccia, perché mia madre non fa mai i capelli di nessuno tranne i miei l’ultimo giorno dell’anno, ma riesce sempre a creare un vero capolavoro. Due giorni dopo era il secondo gennaio, il mio compleanno, e per tradizione la mia famiglia passava di notte. Già a metà dicembre ho scoperto che dovevo fare un video per una mia domanda di lavoro, ma sapevo anche che la scadenza era il 3 gennaio, il che mi dava tutto il tempo di registrare quel video il giorno dopo, no? Una certa sensazione di irrequietezza mi ha fatto ricontrollare l’e-mail, non si sa mai. Ed eccola lì, chiaramente indicata in grassetto la scadenza: prima del 3 gennaio. Giusto. Avevo appena finito di registrarlo (ci sono volute alcune riprese perché fosse un’improvvisazione completa) quando tutti sono arrivati. Mi chiamano la Regina dell’Ultimo Minuto.
Non è una cosa che so, ma piuttosto qualcosa che il mio intuito mi ha detto fin da quando sono nata
Prima che pensi, oh mio Dio, guarda quanto sono una ragazza caotica, voglio dire tutta la realtà. Poiché non ho mai mancato una scadenza in vita mia, non ho mai perso il passaporto, memorizzo tutti i compleanni, organizzo feste perfette fino all’ultimo dettaglio, arrivo sempre in tempo per il volo, e ho una buona memoria: le mie amiche mi chiedono sempre quando si è svolta di nuovo quella vacanza in Croazia o quando abbiamo fatto la nostra prima cena di Natale. Eppure, un po’ di caos è quello di cui mi piace: ho bisogno di sentire la pressione di una scadenza imminente per far sì che la mia creatività inizi a fluire. Quando inizio a pensare troppo, il risultato sarà sempre influenzato negativamente. Non è una cosa che so, ma piuttosto qualcosa che il mio intuito mi ha detto fin da quando sono nata. Mia madre mi racconta sempre che quando ero piccola, trovavo la pace di andare a giocare tranquillamente solo dopo aver distribuito le scatole di lego, vestiti per bambole e altri giocattoli su tutto il pavimento. In mezzo a questo caos, mi sedevo e facevo un disegno. Inutile dire che mia madre non era sempre molto contenta di questa mia particolare abitudine.
La mia teoria: se non hai bisogno di prendere un particolare autobus ad una certa ora, non puoi mai perderlo
Così, quando mio padre mi ha portato all’aeroporto martedì scorso e mi ha chiesto come sarei tornata a casa dall’aeroporto di Roma (autobus? taxi? treno?) non avevo ancora una risposta, perché ricerco quei dettagli solo nel momento in cui sono già arrivata. La mia teoria: se non hai bisogno di prendere un particolare autobus ad una certa ora, non puoi mai perderlo. Questo mantiene basso il mio livello di stress. Così, quando questo fine settimana avevo appena spiegato questa logica autoconcepita ad un’amica italiana, lei è scoppiata in una risata isterica chiedendomi se ero sicura di essere olandese. Beh, credo che quell’amico alla mia cena di compleanno avesse ragione: mi trovo bene qui in Italia. Tutto a posto, niente in ordine…